La misteriosa figura del difensore d’ufficio: avvocato di “serie B” o “supereroe”?
“Mi rimetto alla clemenza della Corte”! Quante volte questa frase è stata pronunciata da grandi attori che in storiche pellicole hanno interpretato il ruolo di difensore d’ufficio, creando nell’immaginario collettivo un errato convincimento sulla sua figura.
E’ quasi un clichè, infatti, come il cittadino comune si rapporti alla sua eventuale nomina: sfiduciato e rassegnato poichè ritiene che un professionista non scelto da lui possa riporre, nell’approntare la propria difesa, minore cura e preparazione giuridica rispetto a quanto garantito da una nomina di fiducia. E sempre il quivis de populo, poi, non potendosi permettere economicamente l’avvocato dei propri “sogni”, rappresenta l’avvocato d’ufficio come un giusto compromesso tra quanto commesso e un’assistenza legale piovutagli dall’alto, ma per lui sicuramente adoperabile a “costo zero”.
In questo articolo si vuole, invece, tentar accendere un faro sulla figura del difensore d’ufficio, non bistrattato avvocato di “serie B”, ma professionista preparato e competente e che (ahimè!) al pari del difensore di fiducia va comunque retribuito.
Principio cardine sotteso alla nomina di un avvocato d’ufficio è l’art. 24 della Costituzione, che al secondo comma tutela il diritto di difesa: “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Accade, non di rado, che nei primi atti difensivi o nelle aule di giustizia l’indagato o l’imputato sia sprovvisto di un legale di fiducia e quindi venga assistito da un difensore d’ufficio. Tale figura disciplinata dall’art. 97 c.p.p., è volta a garantire proprio l’effettività del diritto di difesa, in quanto, in ambito penale, vi è la obbligatorietà di una difesa tecnica, quindi, in altri termini, non si può stare in giudizio da soli.
L’istituto giuridico del difensore d’ufficio è stato nel corso degli anni oggetto di vari interventi legislativi volti a garantire che l’incarico difensivo venisse svolto nel rispetto della legge, dei principi di correttezza deontologica, diligenza e preparazione giuridica.
Di recente il D.lgs. n.6/2015 ha modificato il secondo comma dell’art.97 c.p.p. disponendo che “il difensore d’ufficio, nominato ai sensi del comma 1, è individuato nell’ambito degli iscritti all’elenco nazionale di cui all’art. 29 delle disposizioni di attuazione. I Consigli dell’ordine circondariali di ciascun distretto di Corte di Appello predispongono, mediante un ufficio centralizzato, l’elenco dei professionisti iscritti all’albo e facenti parte dell’elenco nazionale ai fini della nomina su richiesta dell’autorità giudiziaria e della polizia. Il Consiglio Nazionale Forense fissa, con cadenza annuale, i criteri generali per la nomina dei difensori d’ufficio sulla base della prossimità alla sede del procedimento e della reperibilità”.
Tale intervento legislativo ha perseguito la volontà di assicurare la competenza e qualificazione professionale e all’uopo ha previsto dei criteri ancora più stringenti per l’iscrizione nelle liste dei difensori d’ufficio, ossia:
Partecipazione a un corso biennale di formazione e aggiornamento professionale in materia penale, di almeno novanta ore, organizzato dagli Ordini Circondariali o da una Camera Penale territoriale o dall’Unione delle Camere Penali;
Iscrizione all’albo da almeno 5 anni ed esperienza nella materia penale, comprovata dalla produzione di idonea documentazione;
Conseguimento del titolo di specialista in diritto penale, in base all’art.9 della L. n.247/2012.
L’attività svolta dal difensore d’ufficio non è sempre agevole, in quanto egli nonostante gli impegni profusi, non riesce sempre ad avere un contatto diretto con il proprio assistito. Questa eventualità, meno remota di quanto si pensi, rende difficile approntare una difesa a cognizione piena. Quest’ultima, nella maggioranza dei casi, si baserà unicamente sugli atti di indagine della Procura e sulla eventuale querela della persona offesa, essendo il legale all’oscuro della versione dei fatti dell’assistito non avendo la possibilità di svolgere indagini difensive o indicare testimoni a proprio favore.
Tale difficoltà, infine, si incontra anche quando si deve procedere alla richiesta del compenso professionale.
Come accennavamo, bisogna distinguere la figura del difensore d’ufficio, che non è un avvocato pro bono, dalla possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato.
L’art. 31 disp.att.c.p.p. prevede espressamente che “l’attività del difensore d’ufficio è in ogni caso retribuita”. Il pagamento della parcella del professionista spetta generalmente all’assistito, il quale, nel caso versi in stato di non abbienza o comunque abbia un reddito inferiore a €11.483,52, può accedere al gratuito patrocinio.
Le difficoltà che l’avvocato d’ufficio incontra nel veder, giustamente, ricompensato il proprio lavoro – studio della controversia, predisposizione di atti, udienze, copie del fascicolo – si esplicitano in un complesso iter volto al recupero del proprio credito.
Il difensore, dopo aver redatto la propria parcella, senza superare i valori medi dei parametri forensi, cerca di prendere contatti con il proprio assistito, informandolo dell’attività da lui svolta e/o sull’esito dell’intero processo a suo carico, invitandolo a provvedere al pagamento delle prestazioni professionali svolte in suo favore.
In mancanza di riscontro, l’avvocato dovrà instaurare un procedimento civile di accertamento del credito attraverso un ricorso per decreto ingiuntivo o citazione. Una volta ottenuto il titolo esecutivo procederà con la notifica del precetto, ed infine si vedrà costretto a procedere con il pignoramento.
Questo è ciò che accade nei casi in cui l’assistito risulta reperibile. Ma se non lo dovesse essere, cosa accade? In soccorso del “povero” difensore d’ufficio vi sono gli artt. 116 e 117 del DPR 115/2002 (T.U. in materia di spese di giustizia).
Se la persona è irreperibile, perché dichiarata tale con provvedimento dell’autorità giudiziaria, il su citato art. 117 dispone che l’onorario e le spese spettanti al difensore d’ufficio vengano liquidate direttamente dal magistrato competente. In questo caso sarà sufficiente allegare alla richiesta di liquidazione il decreto di irreperibilità, la documentazione dell’attività svolta e la nota spese.
Più complicato è il caso in cui l’assistito non sia formalmente irreperibile ma lo sia di “fatto”. In base all’art. 116 l’avvocato sarà liquidato dal giudice competente, solo nel caso in cui dimostri di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali e aver posto in essere tutte quelle attività volte a rintracciare il soggetto. Dovrà, quindi, produrre non solo la documentazione che comprovi la propria attività difensiva e l’infruttuosa procedura esecutiva, ma anche la certificazione anagrafica del soggetto e idonea certificazione che attesti che lo stesso non sia in stato di detenzione.
Da quanto si qui detto, sono chiare le difficoltà che questo professionista incontra ad ogni nomina ricevuta, più che avvocato di “serie B” potremmo definirlo, al pari dell’avvocato di fiducia, un “supereroe” del diritto di difesa a causa degli ostacoli di varia natura che è costretto a superare.
Pertanto, in conclusione può ben dirsi che divenire difensori d’ufficio è una scelta volontaria fondata sulla passione di porre la propria opera intellettuale al servizio di una “causa”, spesso senza ricevere nulla in cambio, a sol fine di garantire la corretta applicazione della legge e l’effettività della tutela di un diritto.
Avv. Valentina Puca (collaboratrice Studio Legale Verde)