Lo “stalking” condominiale: anche il vicino può perseguitare.
La propria abitazione, nell’immaginario collettivo, è il luogo ove trovare riparo da ogni stress e riposare sereni, un rifugio dai guai e dalle preoccupazioni quotidiane. Eppure spesso, può capitare che tale idea sia turbata da rapporti non proprio idilliaci con il vicinato. Quante volte ci si è trovati a litigare con i propri vicini di casa? Quante volte nelle riunioni condominiali le discussioni si son fatte fin troppo accese e quanta ansia può derivare da tali situazioni?
Il condominio, ad esempio, è un luogo nel quale problematiche apparentemente semplici e di facile soluzione possono degenerare per il comportamento di uno o più soggetti i quali possono ledere o mettere in pericolo beni giuridici altrui tutelati dal nostro codice, commettendo azioni penalmente rilevanti. Spesso ci si scontra magari per piccole questioni, che reiterate nel tempo possono portare a problematiche gravissime. E tali casi sono più frequenti di quanto si possa immaginare.
Oggi ci occuperemo di una fattispecie particolare: lo “stalking” condominiale, cioè la “terminologia (più mediatica che giuridica, ndr) con la quale si indicano le sistematiche vessazioni ed i soprusi subiti da un soggetto per opera di un condomino. Talvolta le attenzioni moleste sono rivolte nei confronti dell’amministratore, il quale polarizza le tensioni che si creano nell’ambito del “microcosmo” condominio”(V. Ianni – “Ubi tu ibi ego” – il reato di atti persecutori nei suoi aspetti fenomenici e profili giuridici).
Si metta subito in chiaro che non troverete menzionata nel nostro codice la parola “stalking”, la fattispecie criminale di riferimento, in questo caso, infatti, sarà quella di atti persecutori (ex art. 612 bis c.p.). Tale reato è integrato dal fatto di chi, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero ingenera un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero costringe lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
Dunque, la reiterazione della condotta di minaccia o di molestia diviene un requisito essenziale e ciò rende la fattispecie di atti persecutori un reato c.d. abituale.
Il principale problema interpretativo riguardo a tale crimine consiste nello stabilire quando la condotta possa dirsi “reiterata”.
Soprattutto guardando al nostro tema odierno, è giusto precisare come la fattispecie di «atti persecutori», prevista dall’art. 612-bis del codice penale, sia integrata anche quando le minacce o molestie vengono arrecate in danno di più persone, costituendo per ciascuna di esse un valido motivo di ansia. Non si richiede, invero, ai fini della reiterazione della condotta, che gli atti persecutori siano diretti sempre nei confronti della stessa persona, ma che dalla molteplicità degli atti compiuti derivi per tutte le vittime il turbamento indicato nella norma incriminatrice (si pensi, appunto, alle molestie e minacce effettuate in danno di più persone abitanti nello stesso condominio del soggetto agente).
Un siffatto comportamento può causare un turbamento tale da giustificare persino una misura cautelare, tant’è che già nel 2012 era capitato addirittura che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano disponesse un “allontanamento dalla casa familiare” a scopo cautelare di un soggetto che aveva compiuto atti persecutori ai danni di alcune persone abitanti nel suo stesso stabile, ma non con esso conviventi.
In particolare, il cosiddetto stalker “quasi ogni notte…procurava rumori molesti, urlando, in abitazione e sul pianerottolo, colpendo con il martello qualsiasi superficie dell’abitazione, spostando mobili e spesso gettando oggetti di ogni genere dalla finestra” oltre a minacciare ed insultare in altre circostanze diversi condomini, arrivando persino a mettere le mani al collo ad uno di questi.
Recentemente la Suprema Corte ha indicato come si realizzi la fattispecie in oggetto ogni qual volta un condomino metta in atto comportamenti concreti tali da esasperare il vicino di casa, nel caso di specie persino inducendolo “ad assumere terapie tranquillanti, ad assentarsi dal luogo di lavoro, creandogli uno stato di ansia tale da compromettere una serena quotidianità dovuta al mutamento delle abitudini ed un generale peggioramento della propria vita”.
Secondo gli Ermellini: “…tale deduzione è coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la prova dell’evento del delitto in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata” (Cass. Pen. n. 14391/2012).
Una domanda che può essere posta a questo punto è la seguente: quale arco temporale è necessario poiché sussista la reiterazione di atti che possano configurare il reato ipotizzato all’art. 612 bis?
E’ ancora la Cassazione a rispondere (con una sentenza recentissima Cass. Pen., Sez. V, n. 104/2018) ipotizzando la sussistenza del reato di atti persecutori anche in un arco temporale ristrettissimo (basterebbe secondo la Suprema Corte persino un solo giorno!) e ribadendo quanto segue: “Per quanto concerne, poi, il breve arco temporale nel quale le condotte sono state poste in essere, questa Corte ha più volte evidenziato come sia configurabile il delitto di atti persecutori anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto (anche nell’arco di una sola giornata), a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo arco temporale, sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 38306 del 13/06/2016)”.
Un’altra questione interessante è la seguente: qual è il ruolo di eventuali testimonianze rese su tali condotte persecutorie? Se le molestie e minacce dovessero capitare sempre solamente ad una povera e singola vittima, come potrebbe essa tutelarsi adeguatamente?
Ancora una volta è la Suprema Corte a chiarire il dilemma e ribadire come: “le dichiarazioni della persona offesa dal delitto possono essere anche da sole poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità se sottoposte a vaglio critico circa l’attendibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva di quanto riferito e non sono sottoposte alla regola di giudizio ex articolo 192 del Codice penale, comma terzo (Sul punto Sez. U. , sentenza n. 41461 , ud. del 19 luglio 2012, dep. 24.10.2012, Rv. 253214). Le regole dettate dall’articolo 192 del Codice penale, comma terzo, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone”.
Va da sé che una ipotesi accusatoria sostenuta con la testimonianza di altre persone avrà più probabilità di venire accolta, ma ciò non toglie, come abbiamo visto, che la persona offesa non possa sostenere le proprie accuse anche in assenza di tali circostanze.
Ad ogni modo in conclusione la riflessione che ne scaturisce è quella apportata da un noto proverbio cinese, il quale declama: “avere buoni vicini di casa è come avere una casa più grande”. Non tutti, però, hanno questa fortuna, anzi in alcuni casi si potrebbe ribattere che avere cattivi vicini di casa può rendere la propria casa talmente piccola e scomoda da tramutarla di sovente in un angolo angusto, odioso e invivibile nella quotidianità.
Avv. Alessio Giuseppe Verde – Avv. Mariaelena Verde