La riabilitazione del condannato alla luce del caso Silvio Berlusconi
Le recenti notizie di cronaca giudiziaria nazionale hanno suscitato un rinnovato interesse nell’opinione pubblica relativamente all’istituto della riabilitazione del condannato: giova qui dedicarvi un approfondimento, anche per favorirne la comprensione e una più agevole lettura.
La riabilitazione è un istituto proprio del sistema penale italiano, la cui disciplina sostanziale è dettata dagli artt. 178-179 del codice penale recanti, rispettivamente, la definizione e i presupposti per la sua concessione ad opera del Tribunale di Sorveglianza competente; per ciò che concerne invece gli aspetti processuali, relativi dunque alla proposizione della domanda di riabilitazione da parte dell’interessato, il codice di procedura penale ne detta compiutamente la disciplina all’art. 683. Ma cos’è la riabilitazione, qual è la sua funzione e come opera in concreto? Procedendo per ordine, è possibile individuare alcuni punti essenziali per rispondere a questi quesiti.
La riabilitazione si sostanzia in un meccanismo che previa verifica della sussistenza di determinate condizioni consente al condannato con sentenza passata in giudicato, ovvero con decreto penale di condanna non opposto, di ottenere l’estinzione degli effetti penali della condanna per cui è richiesta; è chiara, dunque, la ratio rieducativa e risocializzante sottesa all’istituto, in virtù di altrettanti princìpi solennemente sanciti dalla Carta costituzionale (art. 27, co. 3 Cost.).
Affinché la riabilitazione possa essere concessa, il soggetto interessato che personalmente o assistito da un difensore si accinga a proporre apposita domanda innanzi al competente Tribunale di Sorveglianza ai sensi e per gli effetti dell’art 683 c.p.p., dovrà preventivamente assicurarsi che la propria posizione soddisfi determinati requisiti.
Innanzitutto, dovranno essere trascorsi almeno tre, otto, ovvero, dieci anni dal giorno dell’espiazione della pena a seconda, rispettivamente, che non si tratti di soggetto recidivo, o che viceversa dopo essere stato condannato per un delitto non colposo ne abbia commesso un altro (cioè in tutte le ipotesi di cui ai capoversi dell’art. 99 c.p.) oppure, infine, che sia ascrivibile alle categorie dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza (termine finale di cui al terzo comma dell’art. 179 c.p.).
L’interessato dovrà inoltre avere fornito prove effettive e costanti di buona condotta per tutto il periodo ricompreso tra l’avvenuta espiazione della pena e la data di proposizione della domanda di riabilitazione.
E’ importante precisare che la prova della “buona condotta” è legata a doppio filo all’adempimento delle obbligazioni civili. Qualora vi sia stata una parte offesa, difatti, l’adempimento verso questa sarà un adempimento non eludibile, pena il venir meno del requisito della buona condotta e con esso uno dei presupposti alla riabilitazione stessa.
La riabilitazione comporta, tra l’altro, l’estinzione delle pene accessorie, ossia di quelle sanzioni che in determinati casi stabiliti dalla legge vengono comminate unitamente alla pena principale nell’ambito del medesimo provvedimento di condanna e che in concreto comportano una compressione, in misura più o meno ampia, di alcuni diritti e libertà costituzionalmente garantiti.
Tra le pene accessorie figura l’interdizione temporanea o perpetua dai pubblici uffici (artt. 28 e 29 c.p.), la prima essendo destinata ad operare in caso di condanna all’ergastolo, ovvero alla pena della reclusione non inferiore a cinque anni, nonché in caso di dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza, la seconda della durata di un quinquennio, comminata allorquando la pena della reclusione risulti maggiore o uguale ai tre anni.
Il condannato interdetto dai pubblici uffici, oltre all’esclusione della facoltà di accesso ad ogni pubblico ufficio o incarico non obbligatorio al pubblico servizio in generale, viene privato del diritto all’elettorato attivo e passivo, ossia del diritto di eleggere e di essere eletto a rivestire cariche rappresentative pubbliche ad ogni livello.
In sintesi, dunque, interessato a richiedere la riabilitazione sarà il soggetto condannato con sentenza definitiva o decreto penale di condanna non opposto, nei cui confronti la pena sia stata già eseguita o si sia in qualsiasi altro modo estinta, a seconda dei casi, da un tempo non inferiore ai tre, otto, ovvero dieci anni casi e che abbia altresì dato prova effettiva e costante di ravvedimento e buona condotta.
A seguito dell’istanza presentata, verrà fissata dal Tribunale di Sorveglianza competente una udienza di trattazione. Questa si svolgerà in camera di consiglio sulla base della documentazione prodotta (fino a cinque giorni prima dell’udienza) ed acquisita.
Quanto si è andato fin qui dicendo potrebbe rivelarsi particolarmente interessante, specie qualora ci si imbatta in provvedimenti dello stesso tipo dell’ordinanza mediante la quale l’11 maggio scorso il Tribunale di sorveglianza di Milano ha disposto la concessione della riabilitazione in favore dell’ex Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi in relazione agli effetti penali della condanna intervenuta all’esito del processo Mediaset (Ordinanza n. 4208/2018, rif. Cass. Pen., 1 agosto 2013, n. 35279).
Giova perciò riportare qui di seguito alcuni passaggi fondamentali della discussa menzionata decisione, anche per meglio comprenderne il significato e la portata; la riabilitazione veniva richiesta dall’istante in relazione alla condanna intervenuta nel 2013 per frode fiscale, conseguentemente alla sentenza resa dal Tribunale di Milano nel 2012 e divenuta definitiva il 1° agosto 2013, data della conclusione del relativo giudizio di legittimità che ha confermato la pena principale così come ritenuta congrua nei due precedenti gradi di giudizio, annullando con rinvio solamente per la parte relativa all’interdizione dai pubblici uffici.
L’ex Presidente veniva quindi condannato alla pena di quattro anni di reclusione, di cui tre condonati per indulto ex. L. 241/2006, al risarcimento dei danni in solido con gli altri coimputati nei confronti dell’Agenza delle Entrate, con pagamento di una provvisionale di 10 milioni di euro, nonché alla rifusione delle spese processuali e di giudizio. Seguiva la comminazione delle pene accessorie, tra cui l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, sanzione successivamente ridotta a due anni dalla Corte d’Appello di Milano nel relativo giudizio di rinvio e definitivamente confermata dagli Ermellini nel marzo del 2014.
Essendo stata la residua pena detentiva di un anno di reclusione espiata integralmente in regime di affidamento in prova ai servizi sociali ex art. 47 O.P., a far data dal 23 aprile 2014 e con fine pena l’8 marzo 2015, previa concessione di 45 giorni di liberazione anticipata, il Tribunale di Sorveglianza di Milano ne dichiarava l’estinzione il 9 aprile successivo.
Ritenuta ammissibile l’istanza di riabilitazione, poiché inoltrata successivamente allo spirare del termine di tre anni dall’esecuzione della pena, ossia dall’8 marzo 2015, tenuto conto a tal fine della data di effettiva avvenuta espiazione e non anche di quella relativa sua dichiarazione (Cass., Sez. I, n. 10650/2015), verificato l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, nonché l’avvenuto pagamento delle spese processuali in favore della costituita parte civile e delle spese di giudizio tutte, i giudici di Sorveglianza sono passati all’accertamento della sussistenza dell’ulteriore requisito della buona condotta in capo all’istante.
Nel merito, il Tribunale ha osservato come l’ex Premier non abbia riportato condanne ulteriori nei tre anni successivi all’esecuzione della pena, nemmeno in relazione a condotte antecedenti rispetto al periodo di valutazione, alle quali non va comunque di per sé attribuita rilevanza sebbene dotate di una chiara valenza negativa (cfr. Cass., Sez. I, n. 55063/2017, richiamata a pag. 3 della motivazione dell’ordinanza n. 4208/2018).
Poste alla base del giudizio positivo in ordine alla valutazione della condotta dell’istante, inoltre, le informazioni appositamente trasmesse dalle competenti Forze dell’ordine; per ciò che concerne invece l’attuale sussistenza di giudizi pendenti a suo carico, ad avviso del Tribunale «tali pendenze non escludono di per sé la sussistenza della regolarità della condotta (…)», sul punto avendo richiamato il consolidato orientamento del Giudice di legittimità in virtù del quale tale circostanza “non costituisce di per sé ostacolo all’accoglimento dell’istanza di riabilitazione, in ragione della presunzione di non colpevolezza” (Cass., Sez. I, 08.05.2009, n. 22374; Cass. Sez. I, 01.02.2012, n. 6528 e Cass., Sez. I, 26.11.2014, n. 15471).
In definitiva, dunque, tenuto conto della ratio premiale dell’istituto, della funzione rieducativa della sanzione penale e degli obiettivi di risocializzazione del reo, l’istanza di riabilitazione di Silvio Berlusconi è stata ritenuta meritevole di accoglimento; così come formulato, il provvedimento appare adeguatamente motivato ed in linea con i princìpi costituzionali a cui fa riferimento.
Dott.ssa Martina Di Lollo – Studio Legale Verde